Pochi giorni fa sono stata invitata da Aster (società consortile per l’innovazione e il trasferimento tecnologico tra la Regione Emilia-Romagna, le Università, gli Enti pubblici nazionali di ricerca CNR, ENEA, INFN e il sistema regionale delle Camere di Commercio) e Matter group (che si occupa di facilitazione aziendale).

Nella modernissima sede di Philp Morris a Crespellano, Bologna, si sono riuniti imprenditori e ricercatori della regione Emilia Romagna per rivalutare il concetto di errore in ottica aziendale, nel tentativo di sdoganarlo all’interno delle proprie imprese e farlo diventare una risorsa comune di crescita.

Prima di mettere qui il mio intervento devo fare alcune premesse.
Innanzitutto, senza dirlo, avevo storto un po’ il naso rispetto alla location dell’evento. Non sono una fumatrice, ma sopratutto da “ex-medico” mi infastidisce la commercializzazione e di qualcosa che è dichiaratamente molto dannoso per la salute.
Mi sono dovuta ricredere quasi subito. Il primo intervento è stato di Eugenio Sidoli Presidente e Amministratore Delegato Philip Morris Italia che ha raccontato di come l’azienda abbia accusato ripetuti colpi nel tentativo di produrre e vendere un nuovo dispositivo, iQos, a basso rischio per sostituire le sigarette. E’ evidente che in un’azienda leader nella produzione del tabacco tutto ciò suoni come contraddittorio, ma ascoltare l’AD parlare con trasporto sincero del “suo” nuovo prodotto che, per quanto dannoso, riduce in maniera drastica la pericolosità rispetto alle sigarette classiche mi ha fatto pensare che anche aziende eticamente “discutibili” possono attuare delle politiche “eticamente” sostenibili. iQOS  rappresenta l’ultimo sforzo da parte di una multinazionale del tabacco di escogitare prodotti meno nocivi per la salute. Un’azienda che si cannibalizza dal suo interno per trasformarsi uccidersi e rinascere in una forma che sulla carta era perdente è comunque un’azienda che si fa domande e si mette in discussione. Il pranzo in mensa, le misure di sicurezza e organizzative, la successiva visita al reparto produttivo mi ha anche mostrato quanta attenzione ci sia alla qualità di lavoro dei dipendenti.

La seconda premessa è che oltre all’amministratore delegato di Philip Morris, tra i relatori c’erano Carlo Napoli Responsabile Startup Portfolio Management and Business Incubator e Chief Innovation Evangelist Enel Innovation Hubs, Francesca Panzarin Fondatrice di Womenomics  e Francesca Corrado Fondatrice della Scuola del Fallimento: tutte persone con una certa competenza “aziendale” e che parlavano la stessa lingua dei presenti alla convention. Questo mi ha fatto pensare e dire agli organizzatori di essere fuori tema rispetto a quello che i presenti forse si sarebbero aspettati di sentire. Nonostante mi abbiano ripetutamente rassicurata rispetto al fatto che sapevano bene di cosa avrei parlato e conoscevano la mia storia e mi avevano chiamata proprio per quello ero partita quindi un po’ preoccupata di deludere le aspettative o annoiare i presenti. In effetti se  così è stato lo diranno solo i sondaggi di gradimento dell’evento, ma il riscontro immediato che ho avuto a Bologna è stato molto diverso dalle mie aspettative.

Ho parlato con serenità, certo con un po’ di “difficoltà” perchè comunque ho detto cose che mi raccontano, mi rappresentano e mi scoprono davanti a persone che non conosco.
Sapevo di dire cose per me importanti e in cui credo con molta convinzione. Sapevo di dire cose che non solo penso, ma cerco di vivere quotidianamente . Avevo però paura che in un ambito così “professionale” risultassero  banali. Ma forse, e l’ho capito immediatamente alla fine del mio intervento, non c’è niente di banale nell’essere onesti e semplici. Mai.

Davanti a me ho trovato persone che mi hanno stretto la mano, mi hanno abbracciata, mi hanno ringraziata per la mia condivisione. Qualcuno mi ha chiesto di potermi contattare per partecipare ad altri eventi, qualcuno mi ha chiesto di poter condividere le mie parole nella sua azienda o sul suo sito…
Ora leggerete il mio speach e vedrete che non c’è niente di eccezionale in quello che ho detto. Quello che è eccezionale è che delle persone si trovino per condividere le proprie esperienze, anche negative; per raccontarsi ed ascoltarsi con l’unico scopo di creare legami e interazioni e di migliorarsi come persone e come professionisti.

Mi chiamo samanta Tamborini e sono una fotografa. Mi occupo di fotografia di matrimonio e di fotografia di famiglia.
Insegno fotografi all?istituto Italiano di fotografia di Milano e in scuole pubbliche e private, con variabilità annuali in base ai progetti e ai Pof.

Il motivo per cui sono stata invitata qui oggi a parlare di fallimento è che non sono sempre stata questo. Non sono sempre stata questa.

Quando si palra di fallimento lo si fa quasi sempre con un’accezione negativa contrapponendolo al successo.

Anche se in realtà la definizione e sopratutto la percezione di cosa è fallimento ha componente fortemente personale determinata da quelle che sono le nostre priorità e i nostri obiettivi, il modo in cui effettivamente viviamo l’esperienza del fallimento è pesantemente influenzata dalle sue implicazioni e convenzioni sociali.
Comunemente viene considerato successo il raggiungimento di uno status, con variabili rispetto al luogo di nascita e al sesso, con una posizione lavorativa prestigiosa, una condizione economica invidiabile, una famiglia….

La nostra vita è costituita da tanti sottoinsiemi che a volte si intersecano, altre volte si fondono, alte ancora si sfiorano appena o non si toccano neanche.
Questi sottoinsiemi contengono il nostro lavoro, la nostra salute, le nostre relazioni con gli altri, la nostra vita sentimentale, le nostre passioni…
Quanto questi sottoinsiemi si intersecano, quanto si influenzano, quanto spazio occupano e che equilibrio devono raggiungere perchè la nostra vita sia felice/serena/appagante… (ognuno metta l’aggettivo che preferisce) varia da persona a persona o nelle diverse fasi della nostra vita.

Quando un nostro progetto fallisce, quando fallisce una nostra relazione, quando falliamo nel nostro lavoro uno di questi sottoinsiemi collassa.
Ma ci sono gli altri sottoinsiemi che in qualche modo, anche se magari hanno sentito dell’onda d’urto del fallimento, fanno da supporto e ci permettono di ripartire e ricostruire.

Ecco. Io ho fallito clamorosamente a 360° facendo implodere contemporaneamente tutti i sottoinsiemi della mia vita.

Qui dovrei aprire una lunga e noiosa parentesi di psicologia spiccia per spiegare come molti dei miei “meccanismi comportamentali” siano legati a come sono cresciuta.
Semplificando molto posso dire che il rapporto difficile con la mia famiglia  di origine, e soprattutto con mio padre, mi hanno influenzata molto. E quando dico difficile è un eufemismo.
Sono cresciuta da un lato cercando di essere la migliore per ottenere un affetto e un’approvazione che non avevo e dall’altro cercando di essere migliori mio padre.
Il risultato è stato che sono cresciuta con una coscienza ingombrante e che sono sempre stata molto brava in tutto quello che ho fatto.
Questo mi ha portato, quando si è trattato di scegliere che percorso di studio e di conseguenza che lavoro intraprendere ho scelto la cosa che ritenevo essere più difficile: l’università di Medicina e Chirurgia.

La mia vita era quella che mediamente si desidera.
Avevo sulla carta una carriera lavorativa promettente, che sarebbe decollata alla fine dei miei studi; avevo un matrimonio “ideale” da cui avevo avuto una splendida bimba; avevo una condizione economica più che invidiabile.

Ma tutto quello che mi aveva portata a questa vita vera i presupposti sbagliati.
Non mi ero mai chiesta chi ero e cosa volevo.

E l’infelicità e l’insoddisfazione di una vita che non sentivo mia ha logorato tutto e con effetto domino tutto è crollato.
Mi sono ritrovata a pezzi senza sapere da che parte ripartire per ricostruirmi.
Non avevo piani B nella mia vita.

Il fallimento ti toglie le forse, ti offusca la vista, ti fa credere di non essere abbastanza, di non saper far nulla. Ti toglie prospettiva e speranza.

Fallire fa veramente schifo.

E allora perchè sono qui oggi a dire che il fallimento è la cosa migliore che potesse capitarmi?

Toccare il fondo per me ha voluto dire trovare la base più solida da cui ripartite.
Avere la possibilità di ricostruire tutto, di inventarsi una nuova vita, di scegliere cosa diventare non è una fortuna che capita tutti i giorni.
Fallire mi ha insegnato cose che non ho imparato da nessun successo.

Partendo prima di tutto da me stessa perchè la realtà esterna può essere modificata solo se prima ci sono delle conquiste e dei cambiamenti interiori.

Quello che ora vorrei condividere con voi sono le cose che ho imparato dal mio fallimento.
E sicuramente sono cose che mi hanno cambiata come persona, ma sono anche le cose che mi hanno resa la professionista che sono.
Hanno fortemente determinato e influenzato l’approccio che ho con la mia professione; il modo in cui comunico coi miei clienti e mi relaziono a loro; il modo in cui progetto la mia attività e in cui ho scritto e revisiono il mio business plan.

Per favore non fate l’errore di cadere nel luogo comune secondo il quale io posso permettermi di ragionare così solo perchè sono una libera professionista e devo rispondere solo a me stessa.
Rispondere solo a me stessa non mi esime dal mantenere la mi attività in attivo.
Ache perche se così non facessi il mio capo non ne sarebbe per nulla contenta e “me stessa” dovrebbe trovarsi un nuovo lavoro.

Se si hanno le mani impegnate ad aggrapparsi a qualcosa di logoro, non performate o che no ci appartiene più per paura, per pigrizia, per abitudine non si può costruire qualcosa si nuovo o afferrare nuove occasioni.
E’ così che sono potuta diventare fotografa.
Un po’ per caso, quando degli amici hanno aperto una discoteca e mi hanno chiesto di fotografare le loro serate.
Misurarmi con la fotografia è stata un’occasione che ho potuto afferrare e che ho trasforamto con tanta determinazione in una professione.

Uscire dalla propria comfort zone è la chiave dell’evoluzione.

Ho imparato a sentirmi libera di cambiare: di cambiare idea, di cambiare direzione senza fossilizzarmi ciecamente in una soluzione.
Il modo più veloce che conosco per involvere come persone come professionisti è rimanere uguali a se stessi.
Le cose cambiano in continuazione.
Lo scorrere del tempo e i cambiamenti che inevitabilmente comporta sono infiniti embrioni di possibilità.

Ho imparato ad avere fiducia e lasciare alle cose il tempo di accadere.
Noi dobbiamo preoccuparci di seminare bene, su un buon terreno  e di avere cura del nostro campo.
Ma poi dobbiamo anche lasciare alle cose il tempo di crescere e maturare.
(Che non vuol dire stare fermi con le mani in mano)

Fallire è inevitabile per chi non trascorre la sua intera esistenza in difesa e senza fare niente.
Fallire mette alla prova la nostra forza di volontà, la nostra sicurezza inferiore.
La consapevolezza di essermi rialzata da un fallimento così disastroso mi ha dato la certezza di poter sopravvivere a qualsiasi cosa.
E questo mi ha dato una forza e una determinazione impagabili che si sono dimostrati essere il carburante più potente per far funzionare il mio lavoro.

Il fallimento mi ha insegnato a guardare all’imperfezione come un punto di forza, non di debolezza.
Essere imperfetti e avere dei punti deboli ci rende unici e diversi. Il non nasconderlo, ma anzi mostrarlo, mi permette di non essere limitata dal voler nascondere qualcosa di me. Mi da maggior possibilità espressive e mi avvicina alle persone con molta naturalezza, clienti compresi.

Liberarsi del superfluo per essere più agili nei movimenti.
Le cose succedono quando si è in movimento.
Le zavorre sono fatte di tanti “ho sempre fatto così”, “tutti fanno così”, “si aspettano che faccia così”…
Liberarsi di questi pesi inutili permette di andare più in alto e più lontano.

Non c’è nulla di troppo grande da affrontare.
Non c’è altro modo di iniziare a fare una cosa se non iniziare a farla.
Da una situazione di difficoltà si esce un passo alla volta: facendo prima il necessario, poi il possibile  infine l’impossibile.
Anche nella mia attività lavorativa sono cresciuta così: facendo una cosa alla volta senza fermarmi.

Lasciare le nostre 10 o 1000 anime libere di esprimersi e di contaminarsi ci permette di conoscerci e di trovare la nostra strada.
Lasciare che nel nostro lavoro influiscano e prendano spazio qualità e risorse puramente personali lo arricchisce moltissimo.
Tutti possono acquisire competenze. E’ il modo in cui le facciamo interagire fra loro mixandole alla nostra personalità che può dare una marcia in più e fare la differenza.

So che questo punto è particolarmente fuori tema, ma per me è il fulcro di tutto. Anche di molte scelte lavorative.
Si vive una volta sola e non si sa nemmeno quanto.
Non c’è tempo da sprecare in altro modo che non sia cercare di essere felici. A proprio modo.